LA “GIUSTIZIA INTERNAZIONALE” POST-BIPOLARE: UNO STRUMENTO NELLE MANI DI ISRAELE E DEI SUOI ALLEATI NEGLI USA E IN EUROPA - Prima parte

Pubblicato il da ipharra.over-blog.it

MDF71853--191x131.JPGDi: Claudio Moffa

L’accusa di Gheddafi contro la Corte Penale Internazionale è sacrosanta:  

un processo a chi faziosamente processa solo i nemici di Israele? 

 Gheddafi ha ragione, la Corte Penale Internazionale è un’organizzazione terrorista a fini di dominio planetario. Del resto in tempi recenti, chi scrive aveva dnunciato la assoluta parzialità della CPI  in un paio di convegni internazionali. Dominio di chi? Non so cosa 

pensino i leaders della  nuova “internazionale” che si va affermando giorno dopo giorno sulle rovine del vecchio campo socialista, e che solo la iperlaica sinistra marxleninista occidentale sembra - a forza di distinguo scolastici - rifiutarsi di vedere, ma il sottoscritto, da semplice osservatore di fatti internazionali, un’idea se l’è fatta da anni: primo, contrariamente alle belle speranze di tanti giuristi internazionalisti, e nonostante la non presenza di Israele e Stati Uniti fra i sottoscrittori del Tribunale fattivamente fondato nel 2002, sono proprio questi due paesi, o per meglio dire il primo di questi due paesi, se non a indirizzare i magistrati che ne fanno parte, quanto meno a giovarsi dal loro operato fazioso.  

Secondo, nessuna sostanziale differenza esiste, almeno fino ad oggi, fra l’iniziativa giudiziaria della CPI e quella dei famigerati Tribunali ad hoc degli anni Novanta: Il TPI

contro la Jugoslavia, culminato con la morte in carcere di Milosevic; quello contro il popolo ruandese hutu, un obbrobrio su cui persino Carla Del Ponte ha sollevato dubbi fino ad essere licenziata dal suo incarico di Procuratore da Kofi Annan; e quello sulla Sierra Leone, che a fronte delle indubitabili efferatezze della guerra civile, ha portato alla

condanna dei soli oppositori all’odierno regime anglo-americano di Freetown.

Le mani di Israele sul Darfur: un’offensiva “totale” e martellante coperta dal silenzio assordante della “libera” stampa occidentale, e dalla solita solfa 

complottarda del “complottismo” 

Nell’uno e negli altri casi, non è esagerato dire che non c’è foglia che si sia mossa nella“giustizia internazionale” negli ultimi vent’anni – ivi compresa la selezione dei “casi 

urgenti”: perché la Jugoslavia, la Sierra Leone e il Ruanda hutu sì, e non Israele? - che non abbia riflesso gli interessi e le strategie del sionismo internazionale e dei suoi alleati in Inghilterra e negli Stati Uniti. Complottismo antisemita? Idiota e servile battuta, basta guardare ai fatti: in Sudan la crisi del Darfur è partita nel momento in cui, tramite la tela diplomatica di Colin Powell, veniva chiusa la pluridecennale guerra civile sudista 3. Chi 

 

aveva interesse a fomentare subito dopo la guerra civile nel Darfur? E’ difficile pensare appunto a Powell, che  vedeva così vanificare gli sforzi di pace sul fronte sud e perciò favorire la concorrente Cina come principale partner economico di Karthum: non a caso gli Stati Uniti avrebbero co-firmato il 5 maggio 2006 l’accordo di pace di Abuja fra il governo sudanese e una parte della guerriglia darfuriana, dentro una rosa di sottoscrittori 

 

significativa delle intenzioni della “comunità internazionale” costituita da ben 13 firmatari fra cui Sudan, Libia e Nigeria, Francia, Gran Bretagna, Nazioni Unite, Unione Europea, Unione Africana.   

 

 

Era ed è invece Israele, e solo Israele, interessato a destabilizzare il Sudan, e non date retta ai silenzi delle “grandi firme” del giornalismo, paginate sul Darfur in cui mai viene 

nemmeno citato lo Stato ebraico come componente attivo della partita in gioco. Un silenzio 

 

omertoso e servile: è stato infatti il sito del Museo dell’Olocausto di New York a gridare al  genocidio nel Darfur, fin dal 2004; fin dal 2004 sono stati i giornali USA in mano alla lobby a rilanciare l’indecente “je accuse”, anche contro un Colin Powell“negazionista” sempre più all’angolo, oltretutto perché colpevole di aver cercato di voler ridurre le sanzioni all’Iraq nei primi mesi della presidenza Bush jr. E’ stato Elie Wiesel nel suo discorso all’ONU del 2005, un intervento con cui il sionismo e Israele speravano di aver affossato definitivamente – ennesimo utile frutto dell’11 settembre – lo storico intervento di Arafat alle Nazioni Unite del ‘74,  a elencare in testa ai “genocidi” dei nostri tempi proprio il Darfur. E’ Israele che accoglie i fuggiaschi sudanesi trascinandoli in visita al Sacrario dell’Olocausto a Gerusalemme. E’ stata la radio israeliana ad accogliere le interviste e dichiarazioni delle presunte “vittime” presuntamente scampate al presunto “genocidio”, e la voce tragicomica di una scrittrice sudanese che lamentava gli orrori non della guerriglia, non della guerra civile, ma solo e unicamente del regime sudanese  e delle 

 

“sue” milizie a cavallo, gli ormai noti janjawid .  

 

 

E’ Israele infine ad armare le bande secessioniste del JEM, sostenute a loro volta da Bin Laden , che come tutti gli estremismi islamici – in Bosnia, Cecenia, Kosovo – sono utili a destabilizzare e dividere la grande Ummah musulmana e a contrapporre i “gojm” l’uno contro l’altro: i musulmani darfuriani contro gli altri musulmani sudanesi; gli afroarabi 

 

contro gli africani neri; la comunità internazionale contro il mondo islamico e arabo. 

 

 

Durban alla rovescia: il mandato di cattura di Moreno Ocampo, dopo il lungo braccio di ferro fra un Sudan geloso custode della della propria sovranità e i tentativi illegali di imporgli una “missione internazionale” per quella che è una crisi interna, soggiacente alla giurisdizione e sovranità di Khartum, non è altro che la “conclusione” formale di una trama destabilizzatrice ordita da anni, con la complicità della solita stampa “libera” occidentale: 

 

contro il Sudan e dunque contro il mondo arabo e islamico. Il segno pro-israeliano dei Tribunali ad hoc degli anni Novanta.

 

 

Ma come dicevo, il Darfur non è una eccezione alla “giustizia internazionale” postbipolare: che i Tribunali ad hoc siano stati non solo uno strumento dei vincitori sui vinti nello specifico scenario statuale-territoriale in cui illegalmente7 esercitavano la propria giurisdizione, ma anche, spesso, la proiezione giuridica del tracimamento planetario di Israele dopo la fine del bipolarismo (in Russia la famiglia finanziaria di Eltsin, negli USA l’ascesa neocons, in Italia la svolta copernicana occhettiana della fine degli anni Ottanta e l’effetto Tangentopoli sul duo di Sigonella Craxi e Andreotti; in Africa il grande ritorno dopo la raffica di rotture diplomatiche del 1973; all’ONU l’emarginazione del mondo arabo iniziata, nonostante Boutros Ghali, con Perez de Cuellar; nell’economia mondiale la finanziarizzazione dell’economia …) è evidente o quanto meno intuibile: evidentissimo in Ruanda, con il Tribunale di Arusha finanziato da George Soros (!), impegnatosi a processare per il grande massacro del ‘94 i soli dirigenti hutu del governo Habyarimana: un Tribunale dunque al servizio di Kagame, leader di un regime tutsi non solo tirannico e razzista ma anche alleato organico di Israele per affinità ideologiche – i Tutsi si sentono gli “ebrei” della Regione dei Grandi Laghi, e il loro “genocidio” e connessa “reazione” ripetono pari pari il modello mediatico sionista del ’48 – per collocazione geopolitica – l’alleanza con gli USA e lo scontro con la Francia di Chirac e i suoi alleati africani – e per interessi 

 

economici, il mercato dei diamanti attivato grazie alla decennale invasione e rapina 

 

mineraria del Congo orientale da parte delle truppe ruandesi e ugandesi. 

 

 

A questo marcato segno pro-sionista della guerra civile dei Grandi Laghi africani, 

 

corrispondono poi quelli meno netti ma pur sempre visibili degli altri due Tribunali ad hoc 

 

degli anni Novanta: il primo è quello sulla Sierra Leone, stampella giudiziaria di un regime 

 

oggi in ottimi affari con Tel Aviv e un cui Procuratore, l’ex funzionario del Pentagono David 

 

Crane, è arrivato persino a spiccare nel 2004 un mandato di cattura contro l’allora capo di 

 

stato liberiano Charles Taylor: un presidente già eletto nel 1997 con votazioni riconosciute 

 

unanimemente come regolari, ma sgradito agli USA neocons del dopo 11 settembre e a 

 

Israele per i suoi rapporti con la Francia di Chirac e con la Libia, e per la sua intromissione nel mercato di diamanti regionale a fianco dei ribelli del RUF.   

 

 

Geopolitica e retroterra economico sono dunque qui molto simili a quelle della Regione dei 

 

Grandi Laghi: colpire il RUF, defenestrare con un atto arbitrario anticipazione di quello 

 

che oggi si tenta contro Al-Bashir, il “war lord” Taylor uscito vincitore anche per consenso popolare dalla lunga guerra civile liberiana, è stata una mossa giudiziaria tutta interna al nuovo “scramble” per l’Africa postbipolare fra USA-Israele, Francia e in anni più recenti la Cina. Oggi uno dei padroni della Sierra Leone è l’israeliano Beny Steinmez, proprietario della più ricca miniera di diamanti del paese. In tutta l’Africa occidentale vivono centinaia di famiglie israeliane, e già i soliti noti cominciano a parlare di un “pericolo hezbollah” nell’area, erede di quello imputato anni fa a Charles Taylor. 

 

 

Ma questi scenari giudiziario-economici africani hannoqualcosa a che fare con il primo Tribunale ad hoc postbipolare, quello contro la Jugoslavia? Secondo “il dubbio” di un giornalista di Radio Citta’ aperta – Sergio Cararo, atore di un omonimo saggio prudentemente pubblicato su una rivista palestinese  – sì: i protagonisti “americani” e 

“europei” della tragedia jugoslava degli anni Novanta vantavano tutti curricula e rapporti familiari o ideologici di marca ebraico-sionista, a cominciare dall’Albright fino a George Soros, finanziatore della guerriglia kosovara. I musulmani bosniaci da cui prendeva significativamente le distanze Gheddafi alla metà degli anni Novanta (così come Saddam Hussein avrebbe preso le distanze nel 2002 dal terrorismo islamico ceceno), sono stati del resto sostenuti attivamente da Tel Aviv, che ne ha accolti a decine in Israele.   

E dall’altra parte la Jugoslavia di Milosevic – il presidente che per far fronte alla pesantissima crisi economica tentò di opporsi alla strategia della Banca centrale della Federazione diretta da Abramovic   - era erede della non allineata e pro palestinese Jugoslavia di Tito. Un paese da annientare, per il tramite di quella balcanizzazione che costituisce, sia in senso territoriale-geografico che in quello etno-sociale, uno dei pilastri della weltanschauung sionista: che si tratti del Medio Oriente profetizzato da Oded Ynon sulla rivista sionista Kivunim del 1982 12, o dell’ex Unione sovietica, dei Balcani o dell’Africa multietnica.   

 

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